Sebbene il mondo digitale sia ormai massicciamente parte del quotidiano, non sono ancora completamente noti i potenziali effetti a lungo termine di questa presenza sulla salute umana. Non vi è altresì uniformità di vedute in dottrina, sull’estensione dell’applicazione del diritto internazionale e particolare sullo spazio cibernetico. Queste incognite si fanno ancora più pressanti quando si analizzano le ripercussioni dell’utilizzo della tecnologia sui minori, i quali, in quanto soggetti di diritto, dispongono di norme specifiche di tutela.
Se rimane indubbio che l’accesso alla tecnologia sia un elemento imprescindibile per lo sviluppo umano, resta da interrogarsi sull’impostazione di una relazione tra minori e mondo digitale che possa meglio asservire a tale scopo, affinché lo spazio cibernetico non diventi, al contrario, una minaccia per la sicurezza e la salute dei bambini.
Di particolare rilievo in tal senso è stata la Conferenza dell’11-12 Maggio 2021, organizzata dall’Università di Ginevra, dal titolo: “Les droits de l’enfant à l’ère digitale: Faut-il protéger les enfants des écrans?”. Tra i temi affrontati dai vari esperti internazionali, i principali rimandano a: lo sviluppo di una migliore concezione dell’impatto degli schermi sui bambini e adolescenti, la sensibilizzazione degli operatori socio-educativi e della comunità, la riflessione sul ruolo chiave dei genitori nello sviluppare rapporti sani fra i bambini e i media.
Riportando a seguire alcuni punti salienti della tavola rotonda, questo testo si propone di raccogliere spunti di riflessione sui temi al centro del dibattito contemporaneo che investe il rapporto tra bambini e mondo digitale nonché le pertinenti politiche pubbliche, concludendo con una serie di raccomandazioni.
L’impatto del digitale sulla crescita del bambino
La presenza sempre più massiccia dei media sin dai primi anni di vita ha portato studiosi e medici ad interrogarsi ed analizzare gli effetti dell’esposizione agli schermi sullo sviluppo cognitivo e psicologico dei bambini. Si concorda che, se da un lato il mondo digitale apre le porte ai diritti di bambini e adolescenti, dall’altra ciò può comportare dei pericoli sia a livello psico-fisico che sociale.
Se diversi studi hanno dimostrato significativi cambiamenti strutturali, causati dall’utilizzo della tecnologia, nel cervello adulto, questo risultato è ancor più significativo ed allarmante quando si studiano le conseguenze sui più piccoli. A differenza dell’età adulta infatti, l’infanzia é un momento di cambiamenti considerevolmente maggiori nella struttura anatomica e nella connettività del cervello, con conseguenze che possono influenzare lo sviluppo a lungo termine. È stato dimostrato infatti che l’uso prolungato dei media durante l’infanzia, non legato a compiti educativi, ha conseguenze che portano ad uno sviluppo cognitivo deficitario, a cambiamenti della corteccia prefrontale e allo sviluppo di comportamenti compulsivi tipici delle dipendenze. A titolo esemplificativo, si rimanda all’allarme riportato dal pediatra Simon Chalres Fluri, dell’Hôpital de Viège, il quale ha osservato un aumento di bambini che presentano ritardi nello sviluppo linguistico, cognitivo e dell’apprendimento (con conseguenze anche in ambito scolastico).
Data l’alta percentuale di disturbo da dipendenza da schermo segnalata nei bambini nelle prime fasi di sviluppo neurologico, acquistano dunque sempre maggiore importanza le linee guida elaborate da neurologi e professionisti pediatrici. Tra queste, il divieto di utilizzo degli schermi tra 0 e 2/3 anni. Tra i bambini al di sopra di questa soglia, l’utilizzo dei media dovrebbe essere circoscritto a non più di 2 ore al giorno. A tal proposito esistono prove empiriche che dimostrano come l’esposizione prolungata ai videogiochi possa influenzare il neuroadattamento dei bambini al mondo esterno e sviluppare dipendenza tecnologica. Anche in questo caso, è dunque cruciale il ricorso alle neuroscienze cognitive per indagare come i nuovi media possano essere sfruttati in modo virtuoso piuttosto che distruttivo, affinché non costituiscano una fonte di dipendenza ma, al contrario, favoriscano l’apprendimento.
Una ricerca condotta dalla Professoressa Daphne Bavelier dell’Università di Ginevra, dimostra che i videogiochi possono essere potenzialmente utilizzati in modo da favorire la plasticità del cervello, migliorando la memoria e la flessibilità cognitiva. Perché questo avvenga tuttavia, bisogna mettere al centro l’infante e la sua salute, obiettivo che molto spesso non viene perseguito lasciando invece spazio a fini di tipo commerciale. Warren Buckleitner, ricercatore educativo e visionatore di prodotti digitali, nota in merito come ad oggi, la maggior parte dei siti Internet e delle app, non siano progettati in modo da offrire ai bambini opzioni legittime di divertimento e apprendimento. Al contrario, molti videogiochi rappresentano uno strumento di guadagno finalizzato a manipolare i bambini nel chiedere ai genitori di acquistare giocattoli, abbonamenti, prodotti di vario genere, ecc. In questo senso, non solo non viene prestata attenzione allo sviluppo neurologico del bambino, ma esso viene anche, e soprattutto, sfruttato commercialmente ed in modo non eticamente condivisibile. Questo meccanismo economico può inoltre anche spiegare, in parte, perché spesso non venga riservata sufficiente attenzione ai contenuti veicolati dai videogiochi, i quali fanno sovente richiamo alla violenza o contribuiscono a perpetuare stereotipi di genere, essendo nella maggior parte dei casi i personaggi femminili oggettivati sessualmente e disegnati in modo da creare eccitazione nei giocatori.
Se è sicuramente fondamentale tenere conto delle indicazioni elaborate dagli esperti neurologici, dai medici e dal mondo accademico, non meno importante risulta la voce degli utenti stessi, bambini ed adolescenti, nell’elaborare linee guida in merito all’utilizzo dei media, ai rischi e alle opportunità associati ad essi, in questa fascia d’età.
La ricerca della professoressa Amanda Third (West Sydney) basata sulla consultazione di 709 bambini in 27 paesi, mostra che molti bambini percepiscono il digitale come parte integrante della loro vita quotidiana, nonché un portale d’accesso per usufruire dei loro diritti fondamentali. Ne consegue che un ridotto accesso ai media rappresenti un ostacolo allo sviluppo. L’utilizzo della tecnologia è in questo senso percepito come parte integrante del diritto all’educazione. Tuttavia, molti bambini, in particolare nei paesi a basso reddito, non hanno accesso al digitale nelle scuole, e non possono beneficiare di insegnanti sufficientemente qualificati in tal senso. È stato inoltre evidenziato che i bambini ricorrono ad internet per acquisire informazioni in merito alla salute sessuale e mentale, e pertanto si aspettano di reperire online informazioni di alta qualità su argomenti altrimenti difficili da discutere con adulti e coetanei. Infine, quasi all’unanimità, sono i bambini stessi a chiedere ai governi di proteggerli dai rischi collegati alla loro presenza online, in particolare dall’appropriazione indebita o non consapevole dei loro dati nello spazio cibernetico. Parimenti, molti bambini constatano autonomamente l’importanza del bilanciare la propria presenza online con altre attività non digitali.
Per quanto riguarda la Svizzera in particolare, i risultati dello Studio Mike 2019 mostrano che, nel tempo libero, i bambini delle scuole elementari prediligono il gioco e le attività sportive. Sebbene il coinvolgimento prolungato in hobby impegnativi sia diminuito, i bambini continuano a preferire le attività ricreative che non implicano l’uso dei media, anche se quasi la metà dei bambini possiede un telefono cellulare. In generale, possiamo dire che i bambini svizzeri non passino molto tempo online rispetto ai bambini di altri paesi e, quando si tratta dell’utilizzo dei media, essi hanno competenze più limitate rispetto ai loro coetanei all’estero. Nello studio Mike infine, viene anche riportato che il 20% dei bambini intervistati ha avuto paura innanzi a dei contenuti visionati su internet, il 59% afferma invece di aver provato paura per dei contenuti visionati in televisione. Le reazioni a tali emozioni sono molto diversificate e anche se piccoli, i bambini sviluppano differenti strategie per gestire lo stress che cambiano nel tempo e con l’età.
Se si analizzano invece gli adolescenti, anche in questo caso viene evidenziata una relazione molto stretta con i media, specie con il telefono cellulare: non si tratta semplicemente di uno strumento tecnologico, ma di una parte integrante della vita di tutti i giorni. Lo studio Generation Smartphone ha riportato che, per i 30 adolescenti intervistati, i media rappresentano infatti uno spazio per la comunicazione, per mantenere i ricordi e le foto, per l’intrattenimento, un luogo dove creare e dove venire apprezzati. I rischi riscontrati invece sono i seguenti: sovraccarico di informazioni e difficoltà di trovare un limite al loro utilizzo, con costante pressione di fornire immediatamente una risposta ai messaggi ricevuti e con una comunicazione spesso non fluida che è causa di fraintendimenti. Problemi quali cyberbulling e pornografia online, seppur ne viene riconosciuta l’esistenza, non sono percepiti come le sfide più incalzanti. Al contrario, il problema che gli adolescenti ritengono più pressante è quello della gestione del flusso di informazioni continuo.
I rischi e le opportunità legate ai media sono dunque percepiti come due facce della stessa medaglia. Esiste una ambiguità: da una parte li benefici della socialità online, ma dall’altra la paura di perdere qualcosa mentre si è offline, il nervosismo derivante dal non essere online per un lasso di tempo determinato e la pressione esercitata dal paragone con gli altri. Le opportunità comunque vengono percepite come predominanti rispetto ai rischi. Dalla ricerca è in infatti emerso che il 50% dei giovani trovano che essere online sia completamente positivo, mentre il 50% ha un sentimento ambivalente. Dunque nessuno ha ritenuto la presenza online soprattutto negativa. Sicuramente, si può dire che sia bambini che adolescenti traggono benefici dal riflettere sulle conseguenze legate alla loro presenza online.
Quadro giurisprudenziale
Partendo dall’analisi del quadro giurisprudenziale di riferimento, si rimanda ad uno strumento di diritto internazionale di recente redazione e di indubbio interesse, il Commento generale no. 25 sui diritti del bambino nell’era digitale, presentato dal Comitato per i diritti del bambino dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nel marzo 2021.
Lo scopo del Commento Generale No. 25 è di creare una linea guida per gli Stati su come la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989) dovrebbe applicarsi al mondo digitale. Esso è stato sviluppato basandosi sulla giurisprudenza degli Organi dei Trattati sui diritti umani, sulle raccomandazioni dello Human Rights Council, su due cicli di consultazioni con Stati, esperti e altre parti interessate e su una consultazione internazionale con 709 bambini che vivono in un’ampia varietà di circostanze in 28 paesi di diverse regioni del mondo. È importante sottolineare che, non essendo la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia vincolante, la società civile, il mondo accademico e professionale assumono un ruolo fondamentale nell’applicazione di tali diritti e nel loro adattamento all’epoca digitale.
L’ accesso ai media e internet non è di per sé un diritto, bensì una porta d’accesso a dei diritti fondamentali. A tal proposito è quindi cruciale che l’articolo 2 contro le discriminazioni della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia venga anche applicato nel campo digitale: è necessario creare un ambiente digitale privo di barriere in termini di reddito, genere e disabilità. Altri tre articoli della Convenzione da leggere in chiave digitale sono: l’articolo 12 sul diritto d’opinione, l’articolo 13 sulla libertà d’espressione e l’articolo 15 sulla libertà di associazione. L’accesso al digitale è cruciale per permettere a bambini e adolescenti di informarsi, condividere opinioni e far sentire le proprie voci a governi e istituzioni internazionali. Lo sciopero per il clima indetto dall’allora quindicenne Greta Thunberg è un esempio lampante dell’importanza del digitale per esercitare questi diritti. Infine, la pandemia Covid-19 ha dimostrato come il diritto all’educazione, contenuto nell’articolo 28, è oggigiorno indissolubilmente legato al mondo digitale: l’accesso a dei dispositivi digitali è ciò che ha permesso a molti bambini e adolescenti di proseguire i loro studi nonostante l’anno di pandemia. Quest’ultimo ha inoltre dimostrato, nuovamente, come le diseguaglianze socio-economiche abbiano un impatto sull’esercizio dei diritti fondamentali. È quindi cruciale garantire l’accesso all’elettricità, a dispositivi digitali, ai dati e ad una connessione internet stabile per permettere a bambini e adolescenti di tutto il mondo di godere dei diritti fondamentali.
Le dinamiche familiari nell’era digitale
Un’altra aspetto che è importante da tenere in considerazione, è quella dei genitori. Se i genitori rappresentano un modello positivo infatti, sarà più facile per i figli avere un buon rapporto con i media.
L’uso degli schermi riflette le dinamiche familiari, parentali e coniugali (relazioni, tensioni, culture) e le appartenenze sociali, di genere e di classe. Secondo il pediatra Charles Fluri, gli esperti di settore devono quindi sostenere i genitori in questo percorso, considerando anche che esiste una disparità sociale tra famiglie. In molti casi, alcuni genitori, vivendo in condizioni economiche critiche, non hanno gli strumenti per dedicarsi all’educazione digitale dei figli. In altre famiglie, monoparentali ad esempio, manca il tempo. Uno dei metodi che Fluri consiglia, per aiutare i genitori a gestire la vita online dei figli, è sicuramente quello del dare l’esempio. In questo senso, i genitori devono cercare di controllarsi e minimizzare l’esposizione ai tablet e ai telefoni, soprattutto di fronte ai figli. Lo stesso pediatra infatti, prescrive spesso ai propri pazienti il tempo massimo di utilizzo degli schermi giornaliero (un’ora), in modo da alleggerire i genitori dal peso dell’imposizione e conferendo autorevolezza alla decisione, e fornisce un dépliant in cui vengono elencate delle risposte tipo, da fornire ai propri figli in merito ai temi sensibili e ai pericoli legati all’uso di internet (ad es. sugli acquisti online, spreco di soldi, privacy, ecc.). Infine, i genitori dovrebbero condividere, quando possibile, il tempo che i figli passano di fronte ai media, guardando i film insieme o giocando con loro ai videogiochi, in modo da discutere poi del contenuto che essi visionano. È anche importante evitare il collegamento tra media e punizioni rendendo l’accesso ai media come ricompensa, rischiando così di dargli troppo valore.
Vanno poi considerate le conseguenze derivanti dalla condivisione online delle foto dei bambini da parte dei loro stessi genitori, fenomeno definito “sharenting” (Stacey Steinberg). Siamo infatti di fronte alla prima generazione di genitori che cresce dei bambini circondati da social media e le cui informazioni sono condivise sin dai primi passi. Eppure, diamo ancora tantissima attenzione a quello che i bambini condividono e non a quello che i genitori condividono. Attraverso la condivisione online sulla loro esperienza di genitorialità, i genitori danno forma all’identità digitale dei loro figli molto prima che questi aprano la loro prima email. Quello che i genitori rivelano online dei propri figli, sicuramente li seguirà nell’età adulta, e questo senza il loro consenso. Oltre al rischio che i bambini vengano mortificati da ciò che i loro genitori hanno pubblicato su di loro, c’è la possibilità che i coetanei possano imbattersi in determinati post e usarli per bullismo. E ci sono anche possibili rischi da parte di estranei, come episodi di frode d’identità o di pedofilia. Esiste un conflitto di interessi dunque tra il diritto alla privacy dei bambini e il diritto dei genitori di condividere. La legge non fornisce molte indicazioni in merito. E Le norme sociali incoraggiano alla moderazione prima di condividere pubblicamente informazioni personali su amici e familiari. La maggior parte dei genitori non condivide informazioni online perché maliziosi, ma semplicemente perchè non hanno considerato completamente il significato dell’impronta digitale del proprio bambino. I genitori ben informati sono più preparati a prendere decisioni di condivisione per conto dei loro figli, ed ecco perché è importante ipotizzare programmi di sostegno attivo e continuato nei loro confronti.
Raccomandazioni
Nel corso della conferenza è emerso che le disuguaglianze socio-economiche hanno un impatto negativo sul rapporto media digitali e bambini. Situazioni precarie determinano infatti un’esposizione più lunga agli schermi, con conseguenti impatti negativi sullo sviluppo e la crescita dei bambini. Per rimediare a questa sovraesposizione, viene raccomandato l’ampliamento dell’offerta statale di parchi giochi e aree di svago all’aperto, di asili nido e di attività e programmi doposcuola. Questo incremento deve essere accompagnato dalla formazione di persone-risorsa (insegnanti, educatori, assistenti sociali) preparate ad interagire con bambini e adolescenti e a sostenere le famiglie. Ciò implica una attenzione specifica agli insegnanti e alla loro formazione al fine di rielaborare il ruolo dell’educazione nel mondo digitale e sviluppare un curriculum educativo che punti a formare ed informare i bambini sui benefici e i rischi del ciberspazio.
Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo in particolare, Global Kids Online, un progetto di ricerca internazionale che mira a generare e sostenere una rigorosa base di prove transnazionali sull’uso di Internet da parte dei bambini, ha sottolineato come i paesi a basso reddito siano svantaggiati nell’accesso al mondo digitale. Ciononostante, i bambini del Sud del mondo saranno presto i principali utilizzatori di media digitali ed è pertanto cruciale sviluppare politiche che ne garantiscano un accesso e utilizzo sicuro indipendentemente dal reddito.
Nella progettazione di tali politiche, occorrerà tener conto una realtà fondamentale, nonché messaggio principale della conferenza, ovvero la centralità del bambino quale attore attivo nel mondo digitale, e non passivo beneficiario.
Conclusione
Il panorama dei diritti dei bambini è in continua evoluzione e la maggiore integrazione e l’uso diffuso della tecnologia digitale presentano chiaramente sia un’opportunità, sia una sfida per tutti i soggetti coinvolti. I governi, i genitori, gli educatori e la società civile devono assumersi la responsabilità di rafforzare i diritti dei bambini in relazione alle tecnologie digitali ascoltando attivamente le opinioni dei bambini e includendoli nello sviluppo di leggi, politiche, programmi e altre misure in questo campo.
Il Consiglio Federale ha adottato nel 2016 la Strategia Svizzera Digitale, al fine di adattare le proprie politiche ad una società sempre più digitalizzata. Inoltre, l’Ufficio Federale delle Assicurazioni Sociali (UFAS) gestisce la Piattaforma Nazionale Giovani e Media che mira a promuovere le competenze mediatiche di bambini e adolescenti e il loro utilizzo in modo sicuro e responsabile. Lo scopo della Piattaforma è duplice: da un lato quello di elaborare un quadro giuridico a livello federale per proteggere i minori online; dall’altro quello di informare, sensibilizzare e formare gli adulti nel loro ruolo di guida nella configurazione di un rapporto tra mondo digitale e minori funzionale e salubre. Sebbene il governo Vallesano abbia fatto da apripista implementato dal 2019 un programma di educazione digitale responsabile, a livello nazionale e, nello specifico Ticinese, manca ancora un vero e proprio piano destinato ai giovani e alla loro formazione in campo digitale.
Appendice
Elenco di alcuni progetti svizzeri rilevanti:
http://www.generationsmartphone.ch
https://digitalswitzerland.com
https://www.uvek.admin.ch/uvek/it/home/communicazione/svizzera-digitale.html